27 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(7)
A pagina 2 si parla dell'ex comunista
"Migliorista" Sandro Bondi (vedere su youtube o su google "I
miglioristi").
Nella parte finale si dice di chi la Siae si è valsa per imporre
tasse su tutti i prodotti della catena audio/video che
crollerebbero miseramente per la loro incostituzionalità e
infondatezza, solo se qualcuno decidesse - invece di tacere e
pagare - di difendersi promuovendo ricorsi giudiziari in Italia o presso la
Corte europea.
SANDRO BONDI il “migliorista”
In questo ultimo anno, ma anche in precedenza,
radio e televisioni e studi di registrazione e di produzione, si sono
rivolti più volte al Conna ponendo la domanda se era giusto pagare una
tassa sui supporti quali dvd, cd, nastri e su tutti i dispositivi dotati
di memoria.
Il Conna ha sempre risposto che si trattava di una ennesima sconcezza,
in questo caso oltre che italiana europea, dovuta alle forti lobby che
agiscono a supporto delle società degli autori e delle case
discografiche difendendone i loro fortissimi interessi.
Alla fine del mese di dicembre 2009, il ministro Sandro Bondi* celebre
per aver affidato la manutenzione dei beni culturali pompeiani a
incapaci però di area berlusconiana, evidentemente, come già fece il suo
predecessore Giuliano Urbani – anch’egli tristemente famoso per aver
pasticciato la legge 633/41 sul diritto d’autore mediante un’altra
“legge mostro” – ha ben pensato di estendere il cosiddetto equo
(leggasi iniquo) compenso anche ai telefoni cellulari, ai computer e
ai decoder: uno scandalo sul quale i mezzi di informazione, televisioni
e giornali principalmente, sempre pronti a dedicare grandi spazi ad
argomenti di “distrazioni di massa”, stesero un velo di silenzio.
Infatti è per iniziativa di altri paesi europei – non certo dell’Italia
– aver promosso un ricorso alla Corte di giustizia che ha sede in
Lussemburgo, costituita nel 1952, che ha lo scopo di garantire che la
legislazione UE sia applicata uniformemente in tutti i paesi della
Comunità.
La Corte non ha trovato il coraggio di sconfessare alla radice (avrebbe
dovuto colpire troppo interessi) il concetto di equo compenso così
stridente con il buon senso (perché allora per la medesima ragione non
tassare anche le auto che qualche volta servono a commettere fatti
illeciti??), tuttavia ha rilevato un cumulo di illegalità rispetto alla
delicatezza con cui viene affrontato il problema dell’equo compenso dal
punto 35 in poi della Direttiva europea n.29 del 2001.
Solo nel nostro paese poteva essere commessa una deformazione così
macroscopica di un concetto – quello dell’equo compenso – già distorto
di per sé stesso da parte di un ministro della Repubblica che neppure –
c’è da scommettere – non si era neppure letta la direttiva citata.
Le aziende – quindi anche le radio, le televisioni studi di
registrazione e di produzione o altro che acquistano supporti sonori in
quantità non devono pagare nessuna tassa che semmai spetta di versare
sotto forma di una maggiorazione del prezzo ai privati, utilizzatori
finali.
Non ha neppure senso subire balzelli di sorta su cellulari, decoder
e registratori, sopratasse sugli apparecchi di registrazione-.riproduzione
acquistati dalle aziende che certo non ne faranno un uso improprio;
richieste illecite potranno essere denunciate promuovendo cause a
carico dello Stato o della Siae secondo quanto decideranno i legali che
si occuperanno delle vertenze.
Ma chi è in realtà il finto mite Sandro Bondi, ex comunista
“migliorista” che si è spinto tanto in avanti da formulare
disinvoltamente un decreto così fuori dalla legalità europea? Come
agisce abitualmente questo signore. Di chi si è valsa in effetti la Siae
per esercitare le sue pressioni?
Il giornale Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto hanno pubblicato quanto
segue..
Il ministro Sandro Bondi approfittando della
sua posizione ha trovato lavoro (25 mila euro) al marito della sua
attuale compagna la deputata Emanuela Repetti; ha affidato al figlio di
questa presso il Ministero dei beni culturali una “consulenza” (altri 25
mila euro); ha elargito 285 mila euro a una compagnia teatrale che
agisce in prossimità del suo paese; ha finanziato la trasferta in
Bulgaria di una quarantina di persone per presentare un film a Venezia
che nessuno poi ha visto interpretato da una attrice bulgara di
“riguardo” facendo spendere all’erario italiano ben 400 mila euro e ha
investito – sempre a spese nostre – 670 mila euro per abbellire due
chiese a Novi ligure città dove attualmente risiede insieme alla sua
compagna. Ci fermiamo qui.
23 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(6)
Tratto da pagina 2.
SEMBRAVA UNA MANO TESA..
Di Danilo Maddalon
Sarà anche ovvio parlare ancora di crisi economica,
ma le ripercussioni che la stessa sta avendo sulla sopravvivenza delle
emittenti radio locali non è così scontata per tutti perché quelle a
carattere commerciale medio-piccole attualmente sono in seria
difficoltà.
Le assurde imposizioni della legge 66-2001 che prevedono l’obbligo di
assunzione di dipendenti in regola contributiva e la costituzione in
società di capitali impongono costi che non sono più sopportabili con la
caduta verticale degli introiti.
Il Conna sin dall'emanazione di questa legge violenta si è schierato
fermamente per dimostrare l'incostituzionalità dei punti sopraccitati
mediante ricorsi collettivi a Tar del Lazio e Consiglio di Stato,
costati somme notevoli, ottenendo sentenze affatto utilizzabili per
riportare la giustizia sui suoi corretti binari; solo interpretando il
pronunciamento salomonico del CdS, riuscì ad aprire di fatto la strada
ad una soluzione per le emittenti ricorrenti.
La riapertura dei termini per trasformarsi in associazioni, e il
parallelo l’innalzamento dei tetti pubblicitari per le stesse, ha
rappresentato una soluzione alternativa alla chiusura per le radio
coinvolte ed una importante affermazione del Conna che dimostrò senza
ombra di dubbio di essere una associazione di categoria che si trova
laddove è necessario esserci.
Molte radio però non approfittarono di questa temporanea finestra;
alcune perché preferirono il fatalismo alla concretezza del seguire le
vicende del settore; altre, per una forma di snobismo decadente e vista
corta, pensarono che il rimanere commerciali fosse una nota distintiva
nei confronti dei concorrenti che andavano trasformandosi in
associazioni mantenendo pervicacemente lo stato commerciale in cui si
trovavano, con i pesanti oneri che comportava anche quando la dimensione
dell'emittente e i suoi ricavi non lo giustificavano mentre già la crisi
economic che già si andava profilando consigliava di riflettere
maggiormente.
Ora si piange..,.anzi si chiude. Radio commerciali medio-piccole
interrompono ogni giorno che passa l’attività vendendo come ormai è
consuetudine gli impianti alle reti nazionali, e al sottoscritto che non
ama solo la sua radio ma tutte quelle esistenti che hanno un progetto,
non viene da sorridere pensando alle frasi pronunciate a suo tempo del
tipo: “Mai mi trasformerò in una associazione, esse vanno bene per
preti e gli indigenti”. No, non viene da ridere perché ogni voce che si
perde è un pezzo di storia che scompare e che non sentiremo mai più.
Considerata la gravissima situazione, indegna di un Paese come il nostro
altrimenti evoluto in altri campi, è successo che qualche tempo fa un
importante funzionario ministeriale, “illuminato” come si dice, vista la
moria di queste entità locali pensò di arrestare il fenomeno facendo
partire una volata di lettere che di fatto riaprivano la possibilità di
trasformare le radio commerciali in associazioni giocando ancora una
volta sulla riattivazione interpretativa della legge 5-2000.
Poi più nulla
Il Conna non era estraneo a questa operazione e in modo sibillino lo
annunciò sul suo sito, ma qualcuno che non è difficile immaginare chi
fosse fu contrario suggerendo al funzionario democratico di esserlo meno
e che era meglio lasciar dissanguare poco per volta imprese la cui
scomparsa non sarebbe stata rimpianta da nessuno.
Da allora, da viale America silenzio, sembra si ignori tutto ciò che è
avvenuto nonostante che “carta parli” o canti se la vogliamo mettere in
musica.
Ma il Conna non dispera che non appena qualche noto elemento verrà
ridimensionato dai giochi politici in vorticoso avvicendamento sia
possibile evitare che tante voci siano fatte tacere fra l’indifferenza
generale, salvando in extremis un altro notevole numero di radio che nel
frattempo – esistendo già delle regole, uno statuto e una nostra
importante esperienza pregressa – sarà bene si preparino in vista di un
nuovo stato giuridico.
21 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(5)
Ancora dal numero di dicembre di Nuove
Antenne (pagina 3 articolo 2), legato al tema principale
sulla concorrenza - un fattore squilibrante per il mondo
dell'informazione televisiva e radiofonica che non
ci risulta sia mai stato affrontato da nessuno secondo il nostro
angolo interpretativo - l'oscura vicenda ancora tutta da chiarire
che ha visto la Siae arrendersi all'aggresività Scf rinunciando
ai propri diritti prima ancora di difendersi .
SIAE E SCF
Ci sono esempi di concorrenza
controproducente evitata che ci vengono da lontano; uno di
questi ce lo fornisce il legislatore che mise a punto nel 1941
una buona legge sul diritto d’autore: la n. 633 del 22 aprile di
quell’anno, ben lontana dalla congerie di norme spesso
contraddittorie e di dubbia costituzionalità che vengono
prodotte oggi.
La ‘633, riservava in via esclusiva alla Siae l’attività di
unico ente abilitato in esclusiva a percepire il diritto
d’autore in senso lato per poi distribuirlo agli “aventi
diritto”, impedendo in questo modo la concorrenza fra i
potenzialmente numerosi pretendenti i cosiddetti “Diritti
connessi” (un privilegio concesso ai discografici di allora che
oggi non ha più senso) i quali accapigliandosi fra di loro
avrebbero prodotto confusione,. inefficienza e disordine.
In tempi recenti – con grande sconcerto dei suoi iscritti – la
Siae ha fatto ben poco per difendere questo suo diritto di
esclusiva (articolo 180) consentendo che una società la Scf,
nata Spa e poi trasformatasi in consorzio forse per acquistare
più credibilità si autopromuovesse esattore di sé stessa. Il
solerte Sapo Matteucci di cui ci occupiamo in altra parte del
giornale e il presidente Giorgio Assumma non ci risulta abbiano
emesso fuoco e fiamme per il tentativo di difendere
l’articolo180. Sempre pronti a muovere i loro avvocati interni e
un tempo (o tutt’ora?) consulenti esterni, hanno lasciato che la
Scf scorazzasse per i tribunali vincendo (ma anche perdendo)
cause spesso di fronte a giudici non proprio competenti in
materia di diritto d’autore.
La Scf quindi, oltre alla Siae, oggi bussa alle porte di radio o
televisioni locali – scortata da marescialli della Guardia di
finanza che secondo il Comando centrale Gdf di Roma non hanno
assolutamente diritto di farlo – pretendendo una percentuale
sugli utili come - , se la questione non verrà affrontata
seriamente e risolta - potranno fare altre società o
congreghe che hanno collaborato alla realizzazione di un
determinato prodotto.
Un argomento utilizzato dalla Scf a piene mani destinato a
fiaccare i “resistenti”, è un pronunciamento obliquo dalla Terza
sezione della Cassazione presieduta da quel Claudio Vitalone
reintegrato misteriosamente nei ranghi ma che subì un processo in merito
all’omicidio Pecorelli i cui giudici – pur assolvendolo –
ritennero provati i suoi rapporti con la banda della Magliana*.
A questo punto nessun commento da parte nostra, la Cassazione ha
sempre ragione.
Un po’ meno la Siae e la Scf.
*Banda della Magliana
è il nome attribuito a quella che è considerata la più potente
organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma.
17 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(4)
Con i due articoli che seguono si
conclude il contenuto della prima pagina di Nuove Antenne
attualmente in stampa.
Si noterà che la difesa delle emittenti non viene affrontata in
modo diretto, ma in senso lato, ossia esaminando la causa
principale che inesorabilmente sta portando ad una ferrea
concentrazione e alla scomparsa di un gran numero di operatori
televisivi. A nostra memoria non ricordiamo che il
problema del mercato e della concorrenza ritenuti elementi
di una sorta di religione intoccabile sia mai stato affrontato
nella sua essenza negativa. A nuove Antenne, giornale periodico
essenziale al ventiseiesimo anno di vita il pregio di averlo
fatto per primo.
GLI ESALTATi DEL MERCATO ORA CI RIPENSANO
(sopratitolo)
CONCORRENZA MALEDETTA
(titolo principale)
Le privatizzazioni nel nostro paese, realizzate con la scusa di
stimolare la legge della concorrenza hanno ottenuto l’effetto
contrario; come non bastasse, qualcuno continua a proporne di
nuove nei settori più diversi e non si capisce se lo fa per
freddo calcolo di tornaconto personale o sia incapace di
valutare la realtà del nostro paese i cui attori in campo
commerciale e industriale hanno abitudini storiche consolidate
nell’agire dietro le quinte.
Ne consegue che il tanto mitizzato mercato italiano a differenza
di quello europeo è incapace di portare equilibrio perché
l’unico correttivo positivo che permetterebbe di stabilire il
costo di un prodotto o di un servizio viene regolarmente
disattivato in tutti i campi da attivissime lobby.
Come esse agiscano lo dimostrano i numerosissimi raduni annuali
in località più o meno amene dei rappresentanti delle categorie
più disparate durante i quali fanno cartello, o meglio - volendo
evitare questa parola non compresa da tutti - si mettono
d’accordo sullo stabilire un range all’interno del quale
esistono differenze di scarso valore al solo scopo di confondere
le idee ai cittadini e simulare una concorrenza che nei fatti
non esiste.
Questa prassi antimercato ripetuta infinite volte ha regalato al
nostro paese prezzi e tariffe fra le più alte d’Europa in tutti
i settori e non solo in quello energetico, eccetto la telefonia
portata spesso ad esempio, la quale ha registrato una riduzione
di prezzi nella telefonia mobile, non in quella fissa, ma lo ha
fatto in virtù di un progresso tecnologico impetuoso che ha
diminuito i costi delle attrezzature tecniche di trasmissione
rendendo insostenibili posizioni di rendita parassitaria e non
certo per la buona volontà delle compagnie di tlc.
Esistono invece settori nei quali la concorrenza agisce
perfettamente ma in chiave negativa come quella che mette le
persone le une contro le altre anche sul piano fisico e
dell’età, in una competizione a volte anche drammatica
nell’intento di conquistare un posto al sole.
Se ne ha la misura considerando il tessuto di programmazione
delle reti televisive nazionali improntato alla continua
prevaricazione anche per la presenza di metodi di indagine di
ascolto abbandonati ai privati quando per legge dovrebbero
essere curati dall’Autorità per le garanzie (sic!) nelle
comunicazioni (Agcom) (a questo proposito ci sarà mai un
magistrato che riuscirà a far rispettare la legge al signor
Calabrò e ai suoi “commissari” tutti di nomina politica?).
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pur di attrarre quanti
più ascoltatori possibili per acquisire potere e vendere
pubblicità, le grosse aziende televisive fanno a gara per
scavalcarsi l’una con l’altra assecondando il grosso pubblico
nei suoi gusti peggiori.
Si è giunti ad un punto tale da invitare in trasmissioni di
successo pagandoli profumatamente, noti individui litigiosi che
hanno il solo compito di scatenare la rissa, o proporre casi
scabrosi magari a costo di costruirli in studio se la pur
abbondante cronaca nera già non li offre pronti per l’uso.Il
tutto propinato ad un pubblico ormai prono e incapace di
reagire.
Un importante compito lo avrebbe oltre all’Autorità della
concorrenza e del mercato (antitrust) che invece di solito sta a
guardare intervenendo ben di rado, il Comitato media e minori
(leggere l’articolo a pagina 3) ai fine di difendere le giovani
generazioni dall’aggressione quotidiana dei media, attenuando
con misure opportune gli effetti negativi di una concorrenza che
nell’inseguire ossessivamente obiettivi puramente commerciali ha
perso completamente di vista gli interessi generali.
IL MESTIERE DI GIORNALISTA
Era una professione è diventato un mestiere come l’idraulico o
l’elettricista. Non è ancora a livello di scaricatore di porto
ma poco ci manca; ma forse sarà meglio così perché saranno in
tanti a capire meglio gli operai, i contadini e gli emigrati.
Come definire torme di reporter nell’atto di scavalcarsi fra di
loro pur di arrivare primi a raccogliere “la dichiarazione” del
personaggio del momento? Un giornalismo fatto di scoop, cinico e
senza scrupoli volto a soddisfare più un mercato assurdamente
competitivo che ad informare i cittadini?
Sono gli effetti anche in questo caso fortemente perversi della
legge della concorrenza di cui si parla in altra parte di questo
giornale che mette gli uni contro gli altri: vince chi ha i
gomiti più duri e riesce a farsi largo meglio dei concorrenti.
Non mancano certo i buoni giornalisti ma sono una rarità; se ne
dovessimo fare un sia pur succinto elenco apparirebbero nomi
quasi sconosciuti che hanno avuto vita stentata; qualcuno ci ha
rimesso pure la vita svolgendo inchieste scomode, tuttavia la
maggior parte degli altri concepiscono la loro attività come un
piatto lavoro impiegatizio e se ne guarda bene dal dire o
scrivere su argomenti contrari agli “interessi della proprietà”
Quella del giornalista invece non è una professione qualsiasi;
ciò che viene riportato influenza una massa di persone la cui
vastità dipende del mezzo che si usa: una responsabilità ben
diversa per esempio da quella di un operatore di banca che
semmai ne ha altre in genere soggettive.
I cronisti italiani poi devono fare i conti con un mondo
politico e imprenditoriale particolarmente maleducato e
arrogante; quante volte si è visto l’intervistato seguito da un
codazzo di disperati che hanno il solo obiettivo di raccogliere
qualcosa con microfoni e telecamere da portare trionfanti al
loro insaziabile redattore capo? L’inseguito abitualmente non si
ferma neppure vedendo i cameraman camminare all’indietro con il
rischio che inciampino e si facciano male, è come preso da una
fretta irrefrenabile che poi magari si estingue di colpo non
appena arriva al bar.
E pensare che tante ragazze e ragazzi sognano di fare i
giornalisti o i fotoreporter scoopisti come Augusto
Minzolini, il più celebre, magari inseguendo l'obiettivo finale
del Tg1.
14 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(3)
La prima pagina di Nuove Antenne di
dicembre contiene 3 articoli di fondo dedicati agli effetti
negativi della concorrenza in campo informativo. A quello
presente seguiranno gli altri due.
UN CROLLO ROVINOSO
I problemi della concorrenza televisiva in campo
nazionale rischiano di non avere neppure più il contrappeso di una
emittenza locale/regionale dai toni meno esasperati perché l’intero
settore sembra ormai dominato da un gruppo di banditi contrari alla
libertà di espressione.
Negli ultimi tempi, trovando il nostro giornale periodico Nuove Antenne
in casella postale a Montecitorio e a palazzo Madama con titoli
allarmanti (vederne qualcuno fotografato in terza pagina) una dozzina
fra deputati e senatori chiamarono la redazione per saperne di più.
Tutti però – eccetto un senatore - facevano parte di quella opposizione
che quando era maggioranza poteva cambiare radicalmente le cose e invece
non fece praticamente nulla se non regalarci altre regole illiberali e
la parassitaria Agcom che ha esautorato il Ministero delle
comunicazioni.
In questa legislatura Paolo Romani rifiutando ogni contatto con le
associazioni di categoria che non fossero a lui gradite, libero da ogni
vincolo e con una maggioranza alle spalle schiacciante, ha determinato
il dominio incontrastato dei soliti noti accelerando incautamente il
programma di digitalizzazione che poteva realizzarlo benissimo da
satellite se non avesse privilegiato i grandi interessi dei telefonici e
di chi lo aveva nominato sottosegretario.
Romani, che si diceva fosse esperto del settore televisivo per aver
organizzato la nota trasmissione condotta da Umberto Smaila “Colpo
grosso”, non appena insediato, diede luogo in chiave trionfalistica al
digitale terrestre con una operazione frettolosa non curandosi delle
conseguenze della mancanza di un decoder unico nonostante fosse previsto
per legge, e dell’assenza di un piano di numerazione dei telecomandi (lcn)
che tanti inconvenienti ha generato.
In seguito, dopo questo frenetico esordio sgangherato, la notizia della
sua nomina a ministro per lo sviluppo economico ci ha lasciato
costernati domandandoci senza trovare una risposta plausibile come sia
stato possibile che il presidente del Consiglio sia riuscito ad imporre
ad un riluttante Capo dello Stato l’affidamento in mani tanto inesperte
un dicastero così delicato e dai compiti molteplici.
Nel frattempo le residue illusioni dei titolari di tante aziende
radiotelevisive sono cadute e qualcuno, incredulo si domanda come sia
possibile venga limitato o privato delle frequenze di trasmissione in
cambio di un indennizzo che sarà sempre ben poca cosa rispetto a.
svariati decenni di lavoro.
Sarà molto difficile risalire la china e far fronte ai colpi di coda di
una maggioranza azzoppata di governo che in procinto di abbandonare la
nave cercherà di afferrare tutto ciò che le passa per le mani. La legge
finanziaria, ribattezzata chissà perché “Legge per lo sviluppo” ne è un
esempio: ben sapendo che il caos e i tempi stretti avrebbero impedito
qualsiasi discussione è stata infarcita di norme scandalose. E non si è
che all’inizio del naufragio
13 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(2)
Come già annunciato pubblichiamo un
altro articolo contenuto nelle pagine interne di Nuove Antenne
per dar modo a coloro che non riceveranno il giornale a causa
della folle eliminazione delle agevolazioni postali di conoscere
il punto di vista del Conna. Nei giorni prossimi giorni ne
seguiranno altrI compresi quelli di prima pagina diretti ai
politici.
Siae e Scf è uno degli articoli di terza pagina.
SIAE E SCF
Ci sono esempi di concorrenza controproducente evitata che ci
vengono da lontano; uno di questi ce lo fornisce il legislatore
che mise a punto nel 1941 una buona legge sul diritto d’autore:
la n. 633 del 22 aprile di quell’anno, ben lontana dalla
congerie di norme spesso contraddittorie e di dubbia
costituzionalità che vengono prodotte oggi.
La ‘633, riservava in via esclusiva alla Siae l’attività di
unico ente abilitato in esclusiva a percepire il diritto
d’autore in senso lato per poi distribuirlo agli “aventi
diritto”, impedendo in questo modo la concorrenza fra i
potenzialmente numerosi pretendenti i cosiddetti “Diritti
connessi” (un privilegio concesso ai discografici di allora che
oggi non ha più senso) i quali accapigliandosi fra di loro
avrebbero prodotto confusione,. inefficienza e disordine.
In tempi recenti – con grande sconcerto dei suoi iscritti – la
Siae ha fatto ben poco per difendere questo suo diritto di
esclusiva (articolo 180) consentendo che una società la Scf,
nata Spa e poi trasformatasi in consorzio forse per acquistare
più credibilità si autopromuovesse esattore di sé stessa. Il
solerte Sapo Matteucci di cui ci occupiamo in altra parte del
giornale e il presidente Giorgio Assumma non ci risulta abbiano
emesso fuoco e fiamme per il tentativo di difendere
l’articolo180. Sempre pronti a muovere i loro avvocati interni e
un tempo (o tutt’ora?) consulenti esterni, hanno lasciato che la
Scf scorazzasse per i tribunali vincendo (ma anche perdendo)
cause spesso di fronte a giudici non proprio competenti in
materia di diritto d’autore.
La Scf quindi, oltre alla Siae, oggi bussa alle porte di radio o
televisioni locali – scortata da marescialli della Guardia di
finanza che secondo il Comando centrale Gdf di Roma non hanno
assolutamente diritto di farlo – pretendendo una percentuale
sugli utili come, se la questione non verrà affrontata
seriamente e risolta, potranno fare altre società o congreghe
che hanno collaborato alla realizzazione di un determinato
prodotto.
Un argomento utilizzato dalla Scf a piene mani destinato a
fiaccare i “resistenti”, è un pronunciamento obliquo dalla Terza
sezione della Cassazione presieduta da quel Claudio Vitalone
reintegrato nei ranghi ma che subì un processo in merito
all’omicidio Pecorelli i cui giudici – pur assolvendolo –
ritennero provati i suoi rapporti con la banda della Magliana.
A questo punto nessun commento da parte nostra, la Cassazione ha
sempre ragione.
Un po’ meno la Siae e la Scf.
07 dicembre 2010
ANTICIPAZIONE
(1)
Il direttivo del Conna ha deciso di
pubblicare nei prossimi giorni in anteprima alcuni articoli
(oltre al presente) che
appariranno sul numero di dicembre di Nuove Antenne attualmente
in lavorazione.
Dopo anni di equivoci e ambiguità, le emittenti televisive
locali si sono improvvisamente accorte che per la politica
cieca, ottusa e affaristica delle loro associazioni sono
completamente indifese e incapaci di darsi una strategia.
Le radio piccole e grandi faranno bene a tener conto delle
vicende televisive perché se non sapranno correre ai ripari per
tempo saranno anch'esse prima o poi travolte dal ciclone
scatenato da questo governo in favore delle reti nazionali che
vogliono restare le sole padrone del campo.
Quello che segue è l'anticipazione dell'articolo di terza pagina
di Nuove Antenne (incorretto) che verrà recapitato singolarmente
per loro conoscenza a deputati e senatori.
DGTVI: FINE DI UN IDILLIO
Pensavano di cavarsela organizzando un congresso annuale cui
partecipavano perditempo e affaristi di ogni genere, poi pompavano soldi
per tutto l’anno trovando uno schieramento di sprovveduti disposti a
darglieli.
E noi del Conna ad affannarci nel ripetere, state attenti! Questi
signori non sono rappresentativi di organizzazioni sindacali né di studi
di consulenza che hanno una loro dignità per il lavoro amministrativo che
svolgono, essi sono un ibrido che nulla vi può dare.
Alcuni loro iscritti che forse lo avevano capito, si associarono al
Conna vincolandoci al silenzio sui loro nomi (che abbiamo rigorosamente
rispettato), pensando che la nostra associazione nazionale non
perseguendo fini di lucro poteva svolgere una funzione in più per
difenderli, compito che abbiamo sempre esercitato in ogni occasione;
altri, convinti dai “produttori viaggianti” di questi comitati d’affari
abbandonarono il Conna accettando le profferte di chi andava
distruggendo quello che e sul piano strettamente sindacale era il
prestigio di una intera categoria che consente poi di identificare al
suo interno le parti rappresentative che devono partecipare ai “tavoli” di
trattative di qualsiasi genere, nel caso specifico con Ministero, Agcom,
Siae ecc..
Una categoria allo sbando
Neppure il loro riconoscimento e sostegno dato alla
Scf servì a far capire chi erano; qualcuno seppe solo dirci che se anche
le quote di iscrizione annuale erano molto elevate, era rassicurante
essere assistiti da uno studio legale e noi a ribattere che in caso di
necessità è sempre meglio valersi di avvocati del posto che conoscendo
meglio i tribunali locali sono in grado di muoversi più agevolmente di
un avvocato in trasferta, e che comunque i ricorsi legali dovevano
essere pagati a parte oltre alle quote annuali di iscrizione.
La loro azione nefasta fece sì che quelli che erano i contatti abituali
istituzionali ultratrentennali che avvenivano prima di prendere
qualsiasi decisione - tipico quanto succedeva all’interno del Comitato
per l’assetto del sistema radiotelevisivo – poco per volta vennero
soppressi, utilizzando queste organizzazioni parassitarie come ascari,
collaborazionisti in grado di costituire alibi prima delle stoccate
finali.
Ai loro “congressi”, per poter meglio maneggiare dietro le spalle a
tutto favore dei potentati nazionali dell’etere, non lesinavano la loro
presenza ministri, sottosegretari, elementi dell’Agcom, rappresentanti
di categorie che nulla avevano da spartire con le televisioni e le
radio, produttori di apparecchiature e chi ne ha più ne metta. Durante
l’ultimo convegno annuale della Frt – una organizzazione che ha il
pregio di far capire di quali interessi è portatrice – si giunse a
vantare la “pace collaborativa” fra le reti nazionali televisive e le
emittenti locali, come a dire che era stata finalmente scoperta la
chiave di volta della quadratura del cerchio oppure creata una
associazione di inquilini all’interno di una di proprietari di immobili.
Sembrava un idillio senza fine, ci mancava solo la distribuzione di
premi e medagliette!
Il fuoco intanto covava..
Il fuoco però covava sotto la cenere sotto forma
dell’imposizione di un “Digitale brutale”, molto più selvaggio di quanto
immaginava il Conna medesimo: frequenze regalate o messe all’asta,
sottratte a chi le usava magari da trentacinque anni; condizioni di
trasmissione stravolte; impossibilità di essere ricevuti dall’utenza per
le più diverse ragioni e su tutto la sensazione che i giochi fossero ormai fatti con l’espulsione di fatto dell’emittenza televisiva
locale.
Il vice presidente della Frt locali Giorgio Tacchino uscendo
clamorosamente (ma tardivamente) per protesta insieme ad altri
dall’associazione “DGTVI per il digitale terrestre” ha dichiarato come
scrive il quotidiano telematico Newslinet.com : "Non capisco questo
accanimento, non vedo a chi possiamo dare fastidio. Dicono che sia
Mediaset, ma Mediaset ha tutto, perché mai dovrebbe temere le locali?".
Giorgio Tacchino non ha ascoltato il suo presidente Filippo Rebecchini -
altrimenti si sarebbe dimesso subito da anni dalla Frt stessa - quando
disse che è giusto “debbano sopravvivere solo quelle emittenti che hanno
dignità di impresa”. Che significa avere dignità di impresa? Quando la
si ha? Quando si è rappresentativi di qualcosa legato al sociale, al
culturale o semplicemente alla piccola imprenditoria appassionata del
mezzo, oppure si ha la “cassaforte” di Publitalia alle spalle?
Mediaset non ha "tutto"
Il povero Tacchino sperava forse che Mediaset e
altri potentati alla fin fine accettassero che una Italia 7 Gold
qualsiasi (questa definizione non è soggettivamente denigratoria ma
riguarda tutte le locali anche le maggiori) sottraesse anche un solo
ascoltatore cui vendere pubblicità e acquisire potere? Mediaset non ha
“tutto”, le manca quel telespettatore che la sua Italia 7 Gold le
potrebbe togliere.
Una categoria che non fosse preda di equivoci a
tutti i livelli doveva essere in grado di imporre, ripetiamo imporre - e
i mezzi di diffusione e di convincimento dell’opinione pubblica certo
non mancavano – di lasciare la trasmissione analogica a terra
permettendo a quanti fossero in grado di farlo di salire poco per volta su di una
piattaforma satellitare (esattamente come stanno facendo su Sky
Primocanale di Genova, Videolina della Sardegna, E la pugliese
Telenorba24) oltre alle reti nazionali Rai, Mediaset, eLa7 che si sono
messe al sicuro con Tivu sat.
L'ultima spiaggia
Forse qualcosa
può essere ancora fatto se non altro per impedire vengano compiute delle
scelte irreversibili sul “Digital divider”, mortali per l’emittenza
locale.
Sarebbe una lotta
contro il tempo ma con qualche possibilità di successo se l’intera
categoria si mobilitasse subito dando luogo ad una assemblea generale
aperta a tutte le parti in causa da tenere nel centro-Italia.
A questo
proposito il Conna resta in attesa di notizie.
(Da Nuove Antenne, anno ventiseiesimo, numero di dicembre
2010)
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