SI
PREPARANO A FARCI CHIUDERE
articolo
tratto dal nostro periodico NUOVE ANTENNE anno 1 n. 1 (Marzo 1985)
Questo
giornale vi raggiunge in un momento molto critico, in cui sono stati messi a
punto dispositivo e iniziative che porteranno in tempi anche piuttosto rapidi
alla chiusura di un numero impressionante di piccole e medie imprese
radiotelevisive private nel nostro paese. O almeno questo sarà l'esito se non
sapremo farci sentire in tempo. Cerchiamo
di riassumere gli avvenimenti principali degli ultimi mesi.
IL
PIANO DI GINEVRA
Sul
piano cosiddetto di Ginevra discusso nel novembre scorso nell'ambito di una
trattativa internazionale è sceso un silenzio tombale.
Ma esso esiste e non ha perso
nessuna delle caratteristiche che nel
settembre scorso avevano suscitato il
giusto allarme di tutta la radiofonia privata italiana. Con
un'operazione poco pulita, rimasta per molti mesi segreta, si è voluto fare
della F.M. una materia da trattare ad ogni costo a livello internazionale, senza
tenere minimamente conto del suo carattere eminentemente locale.
Il risultato è a dir poco disastroso: l'unico piano di ripartizione
delle frequenze a tutt'oggi formulato nel nostro paese, a dieci anni dalla
nascita dell'emittenza privata, è un
piano killer, un piano che prevede un numero di stazioni private che si possono
contare specie nelle grandi aree urbane sulle dita di una o due mani.
Naturalmente
su questo piano sono fiorite le mistificazioni. Da
molte parti si è cercato di presentarlo nonostante tutto - vestito di rosa. 1
funzionari ministeriali hanno avuto la faccia di vantarsi di aver
"strappato" a Ginevra l'uso di 4648 frequenze.
Silenzio assoluto però sul fatto che attualmente queste frequenze sono per più della metà appannaggio della RAI (che anzi ne vuole
aumentare il numero) e sul fatto che il nostro paese dalle cento città e dagli
ottomila comuni, con l'articolazione geografica che presenta, consente oggi di
fatto la coesistenza di un numero assai più elevato di stazioni, che potrebbero
meglio convivere in un quadro più razionale.
Ma più grave ancora dei tentativi del Ministero di mascherare il proprio
operato è un altro dato: mentre all'inizio
il piano di Ginevra ha avuto l'opposizione di tutta la radiofonia privata, oggi non è più così. £ accaduto infatti che alcuni
proprietari di grosse radio private
hanno colto la palla al balzo per
compattarsi fulmineamente e costituire un "Comitato Nazionale" che in realtà si è rivelato ben presto un comitato d'affari per la protezione di interessi particolari.
Già al momento dell'appello per la manifestazione nazionale del 27 ottobre
esprimevamo qualche dubbio sulla condotta del comitato.
Ma in seguito le cose sono diventate anche troppo chiare.
Molti ricorderanno gli appelli agli ascoltatori lanciati da Radio
Radicale e ripresi dalla maggior parte delle radio libere italiane e gli inviti
a spedire telegrammi di protesta al Ministero.
Ma come sono
state utilizzate tutte quelle migliaia di messaggi di protesta? 1
dirigenti di Radio Radicale e gli altri raggruppatisi nel Comitato, appena si
sono accorti che il piano non li danneggiava personalmente hanno, come si dice,
tirato i remi in barca e anzi si sono adoprati per fornire ai funzionari del
Ministero una controparte di comodo, un alibi che, stante il silenzio calato
sulla radiofonia in Italia si direbbe abbia funzionato pienamente.
LUCE
VERDE PER L'ASSALTO DELLE RETI
Ma
il peggio doveva ancora venire con i due decreti familiarmente battezzati
"decreti Berlusconi". Un
primo decreto (il 694 del 10.10.1984, disegno di legge di conversione n. 2183),
contro il quale abbiamo svolto un'intensa opera di sensibilizzazione dei
parlamentari, fu respinto come si ricorderà per anticostituzionalità.
Purtroppo però i colossali interessi in gioco portarono subito alla
presentazione di un secondo decreto (il n. 807), che aveva per quanto riguarda
il settore privato gli stessi contenuti del primo ma questa volta, a prezzo di
grosse pressioni e manomissioni della prassi parlamentare, fu convertito in
legge il 6 febbraio con 262 voti contro 240.
Stravolgendo completamente lo spirito
della sentenza della Corte Costituzionale, questo provvedimento contiene
un riconoscimento delle reti televisive
e, fatto inedito, di quelle radiofoniche
nazionali, che vengono poste su un
piano diverso da quello delle
emittenti locali. Si è così aperta la corsa alla formazione di nuove concentrazioni che affiancandosi a quelle esistenti tenteranno di
fare la parte del leone, forti del
sostegno che viene loro da potenti interessi economici e politici.
Per le radio il futuro si presenta particolarmente oscuro: le poche
frequenze previste dal piano di Ginevra saranno disputate dalle reti e su tutto
passerà lo schiacciasassi della legge di regolamentazione che si muove nella
stessa direzione del decreto.
Anche per le televisioni locali l'orizzonte non è diverso. Temendo forse l'isolamento alcuni titolari di stazioni hanno
aderito alla FRT, trovandosi così in compagnia di Berlusconi e di altri grossi
calibri in politica e in finanza. Ma
questa compagnia può veramente garantire le piccole e medie televisioni
indipendenti? Altri
"difensori" delle televisioni, invece di rigettare il concetto di
imprese di serie A e di serie B non sanno far di meglio che chiedere qualche
briciola di mercato pubblicitario o invocare la sopravvivenza localmente di un
numero di stazioni superiore a quello dei network.
ASSENZA DI INIZIATIVA DEL SETTORE PRIVATO
Al
segnale verde che è venuto dal governo all'assalto delle reti ora anche in
campo radiofonico non si è opposta praticamente nessuna iniziativa da parte
delle emittenti private che con poche eccezioni, tra cui la nostra come
documentiamo alle pag. 13-14-15, non hanno cercato di esercitare alcun peso
sulla discussione parlamentare.
Eppure il decreto è passato, per una manciata di voti. Sarebbe bastato poco per fargli fare la fine del primo, così
come sarebbe stato sufficiente un soffio a fine ottobre, dopo la manifestazione
delle radio e delle televisioni a Roma, per far ritirare il piano delle
frequenze FM in discussione a Ginevra.Ma
questo fiato
i signori della Commissione paritetica con partecipazione dei privati nominata
in ottobre dal Ministero lo hanno risparmiato per meglio patteggiare a vantaggio
dei loro personali interessi.
Questa
assenza di iniziativa infatti, pur in una fase decisiva, si spiega solo con il
fatto che nelle organizzazioni esistenti, come
l'Anti o la FRT e nel già abbastanza nominato
"Comitato Nazionale" che ha
partorito per la parte radiofonica la
"Commissione" di cui sopra prevalgono gli interessi delle reti (quelle
esistenti e quelle in formazione che si
organizzano intorno alle concessionarie di pubblicità, o all'ombra di cospicui
capitali@' o di poche emittenti che a
torto o a ragione ritengono di
poter essere meglio attrezzate per
sopravvivere e di poter sfruttare a proprio vantaggio il disastro degli altri.
Così sui "decreti Berlusconi" il Comitato Nazionale non ha saputo
far altro che mantenere per molto tempo il silenzio e poi emettere un flebile
comunicato di dissociazione, a mo' di copertura, ma facendo il possibile per
tenerlo seminascosto, mentre il suo presidente, che è anche il direttore di
Radio Radicale e che già rappresentava, contro ogni prudenza e logica politica
libertaria del suo stesso partito, le concessionarie di pubblicità, si fregava
le mani per il sospirato riconoscimento delle reti nazionali anche in campo
radiofonico.
BISOGNA INVERTIRE LA DIREZIONE DI MARCIA
Proseguendo
sulla strada attuale si va inevitabilmente alla eliminazione di buona parte
delle piccole e medie radio e televisioni indipendenti.
Per impedire che ciò avvenga dobbiamo avere le idee chiare sui pericoli della
situazione e sul peso che noi stessi possiamo esercitare.
Le radio e le televisioni dispongono di una forza notevole, in grado di
sensibilizzare l'opinione pubblica e le forze politiche a livello locale e
nazionale. Ma
per far questo bisogna riuscire innanzitutto a diradare il fumo soporifero che
è stato sparso a piene mani, ripudiando le organizzazioni parassitarie regionali e paranazionali
alla sola ricerca di sostegni economici e di prestigio da parte di quelle stesse
emittenti che a parole dichiarano di difendere ma nei fatti tradiscono e si
apprestano a utilizzare quale merce di scambio per meglio servire i loro
interessi.
Per questo riteniamo che tutti coloro che
svolgono qualche ruolo e si
propongono come associazioni di
emittenti abbiano oggi il preciso dovere
di dichiarare i propri esatti obiettivi
e come pensano di poterli raggiungere.
Già molto ci è rimasto delle precedenti iniziative.
In molte regioni italiane esistono consorzi, associazioni e coordinamenti
indipendenti che condividono le nostre azioni organizzate nelle sedi
istituzionali o le forme di manifestazione pubblica.
Ma questo non basta: i nostri avversari dispongono di mezzi notevoli, indicono
congressi principeschi, utilizzano ogni mezzo per attrarre nella loro orbita
elementi scoraggiati o sprovveduti.
Per noi, invece è necessario conoscersi e unirsi.
Da parte nostra proponiamo in questo stesso numero del giornale una
piattaforma programmatica in cui le emittenti si possano identificare e
proponiamo a tutti di organizzarsi in modo adeguato, a livello regionale e
nazionale, per far sentire la nostra voce.
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