IX COMMISSIONE TRASPORTI POSTE E
TELECOMUNICAZIONI
INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI
SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI
Audizione di rappresentanti di CONNA (Coordinamento nazionale nuove
antenne)
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente:
(FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per
l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI):
Misto-PSI-PLI.
Testo del resoconto
stenografico
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IVAN CATALANO
La seduta comincia alle 9.45.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei
lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la
trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei
deputati.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti di CONNA (Coordinamento nazionale nuove
antenne):
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine
conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e
radiofonici, l'audizione di rappresentanti CONNA (Coordinamento
nazionale nuove antenne).
Ringrazio Mario Albanesi, presidente di CONNA, per aver accolto
l'invito della Commissione e gli dò la parola per lo svolgimento della
sua relazione.
MARIO ALBANESI, Presidente di CONNA (Coordinamento nazionale nuove
antenne). Grazie, signor presidente. Rappresento un'associazione no
profit che ha 38 anni di vita. Come tale, posso affermare concetti e
idee che altre associazioni, purtroppo tacciono perché sono vincolate
da altri interessi.
Arriviamo subito alla questione che ci interessa maggiormente ai
nostri giorni: il digitale terrestre, che riguarda un buon numero di
emittenti in gravi difficoltà.
Vedremo di quali emittenti si tratta.
In tempi piuttosto lontani, nel 2008-2009, uscivano sul nostro
giornale di categoria Nuove Antenne articoli dai titoli eloquenti,
quali «Il digitale brutale», «L'imbroglio digitale» e «Tutti a casa?».
Noi, come associazione non profit, avevamo intravisto il grande
pericolo che si celava dietro l'avvicendamento tecnologico che avrebbe
potuto essere un'autentica benedizione se fosse stato gestito in modo
diverso, perché avrebbe permesso di ricavare da un'unica frequenza
utilizzata in analogico una serie di canali indipendenti di ottima
qualità, dall'ampia larghezza di banda.
Invece, l'intero avvicendamento è stato gestito in modo pessimo e
possiamo immediatamente scendere nei particolari.
Le televisioni che utilizzavano una frequenza, sulla quale
trasmettevano in analogico, come abbiamo visto, hanno potuto con il
passaggio al digitale moltiplicare i loro canali, “multiplexxandoli”
per dirla in gergo tecnico, cioè ricavandone in genere 6, (numero,
considerato un buon compromesso tecnico).
Una gestione oculata e onesta avrebbe previsto di lasciare un solo
canale dei 6 ottenuti al possessore della frequenza che aveva in
concessione, devolvendo i cinque restanti a cinque emittenti diverse.
Invece, venne deciso che dovesse essere la medesima emittente che
possedeva una frequenza a dover utilizzare tutti i sei canali del
“mux”.
Non dovette però trascorrere molto tempo affinché i pianificatori si
accorgessero che attraverso questo sistema irrazionale - nonostante
l'enorme numero di canali ricavati dalle frequenze già usate in
analogico – non sarebbero bastati per tutte le emittenti televisive
esistenti.
Pertanto, ai responsabili di questa assurda situazione non rimase
che ricorrere a stratagemmi, come quello di dar luogo ad una
graduatoria - provvedimento assolutamente inaudito – escludendo
emittenti che operavano anche da svariati decenni.
A Roma esiste un caso clamoroso, quello di Telestudio, che a causa di
questa graduatoria, privata della sua frequenza, ha dovuto chiudere le
trasmissioni, licenziando ben quindici dipendenti.
Telestudio ha fatto ricorso, non solo al TAR e al Consiglio di Stato,
che purtroppo in questi anni si sono in parte resi complici di ciò che
stava accadendo, ma direttamente alla procura della Repubblica,
argomentando principalmente: «Da 36 anni noi operavamo e
improvvisamente siamo stati interdetti, perché?». Domanda retorica,
perché da questa narrativa emerge chiaramente la dolosa penuria di
canali di trasmissione.
Non solo: si è giunti persino ad espropriare, ricorrendo ad un
provvedimento gravissimo che non è stato utilizzato neppure in
situazioni ben più pressanti come quelle relative al problema della
casa.
Si ricorderà a questo proposito la vicenda del cosiddetto
«provvedimento Paone» che fu duramente giudicato e respinto dalla
Cassazione: l'allora pretore Filippo Paone, rifacendosi all'articolo
835 del Codice civile, aveva stabilito che potevano essere espropriate
case di abitazione sfitte, ritenute un bene primario il cui
imboscamento era da ritenersi vietato.
In occasione del caso della cattiva amministrazione che ci
interessa, si è arrivati invece all'esproprio dei canali che ha avuto,
tra l'altro, come conseguenza un esborso da parte dello Stato di somme
cospicue, per la penuria di frequenze. Si sono quindi tolte d'autorità
queste ultime ed elargito somme di indennizzo che potevano essere
risparmiate.
Sto parlando in questo caso di frequenze prelevate dalla banda 800
mega hertz che va dal 61 al 69-70.
Oggi si è addirittura arrivati a ipotizzare l'esproprio della banda
700, cioè dal 50 al 60, con altri esborsi di denaro da parte dello
Stato (si è parlato di 20 milioni che in questi giorni pare siano
stati elevati a 40), denaro che lo Stato potrebbe risparmiare
lasciando nello stesso tempo le televisioni locali libere di
continuare a trasmettere.
Già da questo si capisce qual è stata la gestione che meriterebbe
aggettivi durissimi per definirla.
L'intero mondo dell'informazione, l'intero mondo politico e quello
tecnico hanno taciuto, perché così facendo si sarebbero ottenuti dei
risultati ben precisi.
A bella posta è stato lasciato il possesso di ben sei canali a
emittenti locali che a malapena potevano gestirne uno e con con
programmi magari scadenti, considerato che il mondo della pubblicità,
delle risorse, è chiuso e sapientemente manovrato dalle reti
nazionali.
Le emittenti locali, secondo lo svolgersi di ben precisi piani,
avrebbero ben presto “ceduto le armi”, per l'impossibilità di gestire
sei canali. In questo modo, oltre ad ottenere la chiusura delle
piccole emittenti considerate turbative di mercato; il secondo
vantaggio era quello di recuperare frequenze da vendere alle reti
nazionali o alle compagnie telefoniche.
Per raggiungere questi due principali obiettivi le scelte non sono
state casuali, ma accuratamente pianificate ad arte.
Si è perfino arrivati all'assurdo da incuria: le emittenti che
possedevano una frequenza analogica che dopo il passaggio al digitale
gestivano sei canali ripetendo incessantemente programmi già
trasmessi, non riuscivano più ad essere identificate, mancando
l'assegnazione della cifra da comporre sul telecomando.
Una buffa vicenda: gli ascoltatori, improvvisamente non erano più in
grado di trovare l'emittente che fino al giorno precedente trasmetteva
su di una sola frequenza analogica, e questo nonostante la medesima
stazione col l'adozione del digitale trasmettesse su ben 6 canali!
Anche questa è stata una gestione paradossale, imposta
misteriosamente e chi aveva capito cosa si stava facendo preferì non
toccare determinati interessi.
Le stesse reti nazionali, in primo luogo il servizio pubblico, non
hanno mai parlato di questo. Abbiamo mai visto una trasmissione della
Rai affrontare questo importantissimo problema dell'emittenza e della
diffusione di massa, attraverso la televisione o mediante la radio?
Io non ne ho mai visto.
L'ultima trasmissione mandata in onda dalla Rai risale a vent'anni
fa. Allora erano presenti le imprese nazionali che rappresentavano
grandi interessi ed erano escluse le associazioni come la nostra che
avrebbero potuto suscitare un minimo di dubbi. Fummo esclusi, come
altri che avevano qualcosa di sensato da dire , e passarono i più
grossi equivoci.
Personalmente, in tempi recenti non ho esitazioni a definire quanto è
successo insieme alla vicenda del digitale «crimini radioelettrici».
Riepilogando partendo dall'analogico: le frequenze impegnate nei
vari bacini d'utenza erano circa 40, ovvero c'erano 40 punti di
frequenza utilizzati da 40 emittenti diverse.
Con il digitale, potendo da una frequenza ricavare sei canali, con
l'uso di appena quindici frequenze anziché 40, si sarebbero ottenuti
90 canali utilizzabili dalle televisioni esistenti e da nuovi soggetti
che ne avessero fatto richiesta tanto erano numerose le possibilità
offerte dal numero di questi canali ottenuti in multiplex.
Questo non si è fatto e nessuno ne ha parlato. Nessuno ha detto
nulla !
Come si può uscire da questa situazione oggi ? Molto difficilmente
perché sono state fatte delle scelte precise, spesso irreversibili.
Parliamo ora delle presunte interferenze. Perché gli Stati che oggi
si dicono interferiti, per esempio quelli appartenenti alla ex
Jugoslavia nella parte prospiciente la costa adriatica italiana e la
Svizzera, prima non avevano protestato ?
Lo fanno oggi perché sanno di dare un aiuto a coloro che vogliono
liberare frequenze ad ogni costo per concederle alle multinazionali
telefoniche.
Comunque, per brevità, consideriamo provate le interferenze
provocate dall'Italia agli Stati balcanici come ad altre Nazioni del
Mediterraneo.
Come risolvere questa situazione? Espropriando ancora una volta canali
alle “locali” oppure facendo un censimento delle emittenti italiane
disturbatrici al fine di stabilire per legge, che quanti dispongono di
sei canali siano tenuti a devolverne due alle emittenti che saranno
obbligate a liberare le frequenze evitando di interrompere la loro
attività?
Procedendo in questo modo si potrebbe attenuare la grave situazione.
Ho avuto modo di parlare con il sottosegretario Antonio Giacomelli e
devo dire che ho trovato in lui una grande disponibilità, forse perché
a suo tempo ha diretto la televisione Canale 10 di Firenze ed è al
corrente dei grossi problemi che l'emittenza locale deve affrontare.
Al sottosegretario Giacomelli ho anche detto che a differenza
dell'emittente che egli ha governato a lungo, le emittenti locali
mediamente sono ad un livello economico più basso: un punto di forza e
di debolezza nello stesso tempo una valutazione apparentemente
eccentrica ma che fa parte delle nostre vedute di associazione no
profit.
Il Conna infatti pensa che esistano due tipi di emittenti locali molto
diverse tra loro e quindi facilmente identificabili.
La prima è l'emittente locale come la intendiamo tutti, quella che
racconta ai suoi ascoltatori cosa succede nel raggio di quindici,
venti o trenta chilometri da dove opera: in caso di necessità o di
calamità naturali, questo tipo di emittenza è in grado di rendersi
utile, aiutando i vigili del fuoco, informando la popolazione, anche
perché quasi tutte le emittenti locali dispongono di mezzi autonomi di
continuità: producono energia elettrica in proprio, possono
improvvisare collegamenti di emergenza e mentre magari la rete
elettrica nazionale risulta interrotta, esse sono in grado di
continuare a trasmettere ed essere ricevute da autoradio o piccoli
ricevitori a batteria, assicurando quella comunicazione di cui gli
ascoltatori durante le calamità naturali o di altro genere hanno
spesso lamentato l'assenza.
Tra quella appena descritta e le reti nazionali, c’è un poi un
secondo tipo di emittenza che non è né nazionale né locale, che magari
serve quattro o cinque regioni; ebbene, molte risposte rispetto a
quanto fino a qui esposto possono essere trovate considerando anomala
questa fascia di emittenti, ispiratrice di scelte sbagliate che si è
cercato di favorire in tutti i modi per gli stretti legami che ha con
le reti nazionali, politiche ed economiche.
Veniamo all'ultimo punto di questa esposizione, che forse può
risultare un po’ caotica per la complessità della materia, ossia ai
problemi derivanti dalla numerazione LCN sui telecomandi.
La nostra associazione aveva fatto una proposta un tantino
provocatoria all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: al
Servizio pubblico, costituito da un solo canale privo di pubblicità
gestito oggi dalla Rai e domani magari da qualche altro operatore (non
sappiamo come finiranno tanti conflitti), deve essere riservato il
numero 1 del telecomando; gli altri numeri composti da una sola cifra
potrebbero essere destinati alle emittenti locali.
Questa nostra proposta, ripetiamo un po’ provocatoria, ha una sua
giustificazione, perché l'ascoltatore medio per sintonizzare
un'emittente nazionale che gli interessa è anche in grado di formare
due o tre cifre. Sul satellite, per esempio, sono tre le cifre che
bisogna digitare; invece, chi vuole ritrovare un'emittente locale che
prima vedeva e riceveva in analogico non ha la pazienza di digitare
tre cifre, ma ne vuole digitare una sola (questo spiega la caduta
verticale di ascolto per le “locali”).
Telenorba di Puglia ad esempio, ha bisogno di risultare ai primi
posti; voglio precisare. che Telenorba non è un nostro iscritto, e il
soggetto titolare non ci è particolarmente simpatico. Dico questo come
nota personale, per sottolineare che non siamo qui per difendere
interessi particolari, tutt'altro.
Telenorba, “locale” che in Puglia, ha un ascolto in certi casi
superiore alla Rai, merita di avere uno dei primi nove numeri del
telecomando.
Allora, non concedendo alle emittenti nazionali diverse dal Servizio
pubblico i numeri dal 2 al 9 ma assegnando loro numeri a tre cifre sul
telecomando, le tv locali sarebbero finalmente rivalutate per quanto
meritano in quanto servizio pubblico integrativo e le nazionali
sarebbero poste tutte sullo stesso piano.
Questa, che sembrava una proposta provocatoria, è stata ripresa in
parte dal commissario Marina Ruggeri, o perlomeno questo mi è giunto
all'orecchio.
Ripeto, la realizzazione di questa ipotesi metterebbe tutti sullo
stesso piano.
Quella che era una proposta provocatoria è diventata di grande
attualità: tre numeri per tutti e tutti sullo stesso piano, gli
ascoltatori farebbero presto a ricordarsi i numeri e la questione si
chiuderebbe così.
In alternativa negativa, poiché potrebbe succedere che Telecapri,
Telenorba o altre emittenti locali forzando la situazione riescano a
conquistare i fatidici numeri 8 e 9, seguirebbero immediatamente una
serie di ricorsi che andrebbero avanti non si sa quanto, con il
risultato di immobilizzare nuovamente la regolazione definitiva della
questione LCN.
La nostra associazione e l'intero comparto radio tv purtroppo deve
subire un'azione dell'Agcom che non esito a definire nefasta. Lo
dichiariamo pubblicamente, perché è la verità; anche se
l'informazione, come al solito, nonostante le nostre sollecitazioni se
ne è ben guardata dal parlarne.
Il 24 settembre ci siamo recati sotto il palazzo dell'Agcom a Roma in
via Isonzo a manifestare. Abbiamo chiamato un buon numero di
emittenti, che sono venute da tutta Italia, promettendo che, se la
nostra piattaforma rivendicativa, distribuita ai presenti, non fosse
stata adeguatamente discussa alla presenza del presidente Angelo
Marcello Cardani e non solo con i funzionari cui ci aveva affidato, a
distanza di due mesi saremmo ritornati con i megafoni, anche senza
seguito di titolari di emittente a causa dei molteplici compiti che
hanno dato il carattere delle piccole imprese.
Come promesso, una rappresentanza del direttivo del Conna si recherà
nuovamente davanti al palazzo dall'Agcom puntualmente il 26 novembre.
Dico questo per far meglio comprendere a quali metodi dobbiamo
ricorrere per difenderci e per far sentire la nostra voce.
Le emittenti che operano da tempo immemorabile - le radio
soprattutto - sopravvivono insieme ai loro titolari con la piccola
pubblicità. Si “ingegnano” in mille modi per sopravvivere perché il
mercato delle risorse è “drogato” e viene intercettato per oltre il 95
per cento dalle reti nazionali che oggi hanno disposto di fare
pubblicità a quelle specialità commerciali come le televendite che
erano tipiche delle emittenti locali. In questo modo, continuano a
drenare completamente tutte le risorse lasciando le emittenti locali
economicamente scoperte.
La nostra associazione ha cercato di mettere in guardia dall'insidia
della concorrenza, che ha prodotto un degrado costante della
programmazione.
La concorrenza, che è un bene nell'economia di mercato perché consente
di ottenere un certo equilibrio nel valore delle merci, diventa
estremamente negativa nel caso dell'informazione perché, pur di
assicurarsi “clienti”, cioè ascoltatori, i vari mezzi d'informazione,
poco per volta, vanno incontro ai gusti del pubblico, che purtroppo
non tendono mai verso l'alto, ma verso il basso.
Allora, si assiste a trasmissioni televisive concepite esclusivamente
per fare ascolto, che collocano il nostro Paese ad un infimo livello.
Io ho un figlio in Germania. Quando lui e la moglie trovandosi in
Italia, guardano la televisione del nostro Paese ne sono letteralmente
scandalizzati. Non la stiamo confrontando con la tv di una nazione
amministrata in modo particolare, ma con la Germania: la dignità di
una stazione televisiva tedesca non ha assolutamente nulla a che fare
con quei ben definiti «pollai» televisivi che sono sotto i nostri
occhi quotidianamente.
Per concludere, torno a dire, soprattutto per i deputati che non
erano presenti sin dall'inizio dell'audizione, che queste notizie
vengono da un'associazione che crede nella libertà di informazione e
che per poter affermare certi concetti, è necessario restare
assolutamente lontani da mire di potere e da questioni finanziarie.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per
porre quesiti o formulare osservazioni.
SETTIMO NIZZI. Mi spiace essere arrivato un po’ in ritardo. Ho
seguito la parte terminale della relazione. Condivido molte delle cose
che ha detto. Mi è piaciuta la sua relazione, per gli importanti
spunti che ha voluto darci.
Io penso che tutti ormai sappiano utilizzare il telecomando. Il
telecomando di Sky, se premiamo 1, ci porta sul 100, 101, 102, 103 e
104. Forse potrebbe essere una buona cosa per ridare un po’ di fiato
anche alle emittenti locali. Certamente non saranno d'accordo le due
grosse emittenti, ovvero quella del mio presidente e quella della Rai.
Io penso che mettere tutti sullo stesso piano, anche se con piccole
facilitazioni per chi spende di più o ha più infrastrutture, possa
essere una buona cosa.
Per quanto riguarda il problema delle antenne, noi siamo italiani e
ci preoccupiamo sempre di quanto disturbiamo gli altri e non di quanto
gli altri disturbano noi. Io penso che anche su questo dovremmo essere
più forti e determinati. Non sempre dobbiamo recedere. Sarebbe utile
che qualche volta battessimo i pugni sui tavoli.
Infine, se avete difficoltà a distribuire il giornale, mandatecelo
via e-mail. È facilissimo e a costo zero. Vi diamo il nostro indirizzo
di posta elettronica e in questo modo noi possiamo essere
continuamente informati. Poi starà a ciascuno di noi leggere o non
leggere, ma la stessa cosa vale per i giornali. Spesso li prendiamo e
li mettiamo dentro il contenitore per la distruzione della carta che è
nell'ufficio dove riceviamo tutta la nostra posta. Invece, se c’è
qualcosa a cui siamo interessati, lo possiamo leggere in qualsiasi
momento, quante volte vogliamo e non abbiamo il problema di doverlo
portare fisicamente con noi.
MARIO TULLO. Vorrei solo ringraziare il dottor Albanesi. Abbiamo
ascoltato con attenzione anche i passaggi forti della sua relazione,
di cui terremo conto quando elaboreremo il documento conclusivo
dell'indagine.
PRESIDENTE. Do la parola al dottor Albanesi per la replica.
MARIO ALBANESI, Presidente di CONNA (Coordinamento nazionale nuove
antenne). Per quanto riguarda l'LCN, gli scontenti ci saranno
comunque, ma quando si sa di essere sullo stesso piano di altri lo
scontento diminuisce: se un grosso gruppo privato si sentisse orbato
dei primi numeri e contemporaneamente l'immediato grande concorrente
avesse la possibilità di utilizzare i primi numeri fino al 9, allora
ci sarebbe senz'altro grande animosità.
In questo caso, invece, si tratterebbe di mettere tutti sullo stesso
piano. Le emittenti locali non avrebbero più nulla da ridire sul fatto
che sono state rilegate al 400 o al numero 600 e che nessuno le trova
più, perché chi è interessato a quella stazione che riceveva in
analogico avrebbe la medesima possibilità di trovarla.
La ringrazio di aver recepito questa proposta, che sembrava un'idea
un po’ provocatoria quando la presentammo al presidente Cardani, che
allora ci ricevette.
SETTIMO NIZZI. A noi oggi manca l'emittenza locale, perché stiamo
perdendo molti fatti territoriali. A parte i posti di lavoro che
abbiamo perso insieme alle emittenti, ci mancano soprattutto le
notizie locali, che sono molto importanti per le comunità.
Noi pensiamo di essere una grande comunità. Vogliamo essere europei,
mondiali e interplanetari, e stiamo perdendo l'abitudine di parlare
con il vicino di casa. Non sappiamo se si è rotta una fogna della
nostra città, se non sta funzionando il depuratore o, meglio ancora,
se un consigliere comunale si è fratturato una gamba. Penso che sia
molto importante ritornare a dare un po’ più di voce alle piccole
emittenti locali.
PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il presidente di CONNA per la sua
interessante relazione e dichiaro conclusa l'audizione.
Il testo stenografico originale in formato pdf
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