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ULTIMISSIME - Dicembre 2010

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27 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (7)
A pagina 2 si parla dell'ex comunista "Migliorista" Sandro Bondi (vedere su youtube o su google "I miglioristi").
Nella parte finale si dice di chi la Siae si è valsa per imporre tasse su tutti i prodotti della catena audio/video che crollerebbero miseramente per la loro incostituzionalità e infondatezza, solo se qualcuno decidesse - invece di tacere e pagare - di difendersi promuovendo ricorsi giudiziari in Italia o presso la Corte europea. 

SANDRO BONDI il “migliorista” 

In questo ultimo anno, ma anche in precedenza, radio e televisioni e studi di registrazione e di produzione, si sono rivolti più volte al Conna ponendo la domanda se era giusto pagare una tassa sui supporti quali dvd, cd, nastri e su tutti i dispositivi dotati di memoria.
Il Conna ha sempre risposto che si trattava di una ennesima sconcezza, in questo caso oltre che italiana europea, dovuta alle forti lobby che agiscono a supporto delle società degli autori e delle case discografiche difendendone i loro fortissimi interessi.
Alla fine del mese di dicembre 2009, il ministro Sandro Bondi* celebre per aver affidato la manutenzione dei beni culturali pompeiani a incapaci però di area berlusconiana, evidentemente, come già fece il suo predecessore Giuliano Urbani – anch’egli tristemente famoso per aver pasticciato la legge 633/41 sul diritto d’autore mediante un’altra “legge mostro” – ha ben pensato di estendere il cosiddetto equo (leggasi iniquo) compenso anche ai telefoni cellulari, ai computer e ai decoder: uno scandalo sul quale i mezzi di informazione, televisioni e giornali principalmente, sempre pronti a dedicare grandi spazi ad argomenti di “distrazioni di massa”, stesero un velo di silenzio.
Infatti è per iniziativa di altri paesi europei – non certo dell’Italia – aver promosso un ricorso alla Corte di giustizia che ha sede in Lussemburgo, costituita nel 1952, che ha lo scopo di garantire che la legislazione UE sia applicata uniformemente in tutti i paesi della Comunità.
La Corte non ha trovato il coraggio di sconfessare alla radice (avrebbe dovuto colpire troppo interessi) il concetto di equo compenso così stridente con il buon senso (perché allora per la medesima ragione non tassare anche le auto che qualche volta servono a commettere fatti illeciti??), tuttavia ha rilevato un cumulo di illegalità rispetto alla delicatezza con cui viene affrontato il problema dell’equo compenso dal punto 35 in poi della Direttiva europea n.29 del 2001.
Solo nel nostro paese poteva essere commessa una deformazione così macroscopica di un concetto – quello dell’equo compenso – già distorto di per sé stesso da parte di un ministro della Repubblica che neppure – c’è da scommettere – non si era neppure letta la direttiva citata.
Le aziende – quindi anche le radio, le televisioni studi di registrazione e di produzione o altro che acquistano supporti sonori in quantità non devono pagare nessuna tassa che semmai spetta di versare sotto forma di una maggiorazione del prezzo ai privati, utilizzatori finali.
Non ha neppure senso subire balzelli di sorta su cellulari, decoder e registratori, sopratasse sugli apparecchi di registrazione-.riproduzione acquistati dalle aziende che certo non ne faranno un uso improprio; richieste illecite  potranno essere denunciate promuovendo cause a carico dello Stato o della Siae secondo quanto decideranno i legali che si occuperanno delle vertenze.
Ma chi è in realtà il finto mite Sandro Bondi, ex comunista “migliorista” che si è spinto tanto in avanti da formulare disinvoltamente un decreto così fuori dalla legalità europea? Come agisce abitualmente questo signore. Di chi si è valsa in effetti la Siae per esercitare le sue pressioni?
Il giornale Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto hanno pubblicato quanto segue.. 

Il ministro Sandro Bondi approfittando della sua posizione ha trovato lavoro (25 mila euro) al marito della sua attuale compagna la deputata Emanuela Repetti; ha affidato al figlio di questa presso il Ministero dei beni culturali una “consulenza” (altri 25 mila euro); ha elargito 285 mila euro a una compagnia teatrale che agisce in prossimità del suo paese; ha finanziato la trasferta in Bulgaria di una quarantina di persone per presentare un film a Venezia che nessuno poi ha visto interpretato da una attrice bulgara di “riguardo”  facendo spendere all’erario italiano ben 400 mila euro e ha investito – sempre a spese nostre – 670 mila euro per abbellire due chiese a Novi ligure città dove attualmente risiede insieme alla sua compagna. Ci fermiamo qui.

23 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (6)
Tratto da pagina 2.

SEMBRAVA UNA MANO TESA.. 

Di Danilo Maddalon 

Sarà anche ovvio parlare ancora di crisi economica, ma le ripercussioni che la stessa sta avendo sulla sopravvivenza delle emittenti radio locali non è così scontata per tutti perché quelle a carattere commerciale medio-piccole attualmente sono in seria difficoltà.
Le assurde imposizioni della legge 66-2001 che prevedono l’obbligo di assunzione di dipendenti in regola contributiva e la costituzione in società di capitali impongono costi che non sono più sopportabili con la caduta verticale degli introiti.
Il Conna sin dall'emanazione di questa legge violenta si è schierato fermamente per dimostrare l'incostituzionalità dei punti sopraccitati mediante ricorsi collettivi a Tar del Lazio e Consiglio di Stato, costati somme notevoli, ottenendo sentenze affatto utilizzabili per riportare la giustizia sui suoi corretti binari; solo interpretando il pronunciamento salomonico del CdS, riuscì ad aprire di fatto la strada ad una soluzione per le emittenti ricorrenti.
La riapertura dei termini per trasformarsi in associazioni, e il parallelo l’innalzamento dei tetti pubblicitari per le stesse, ha rappresentato una soluzione alternativa alla chiusura per le radio coinvolte ed una importante affermazione del Conna che dimostrò senza ombra di dubbio di essere una associazione di categoria che si trova laddove è necessario esserci.
Molte radio però non approfittarono di questa temporanea finestra; alcune perché preferirono il fatalismo alla concretezza del seguire le vicende del settore; altre, per una forma di snobismo decadente e vista corta, pensarono che il rimanere commerciali fosse una nota distintiva nei confronti dei concorrenti che andavano trasformandosi in associazioni mantenendo pervicacemente lo stato commerciale in cui si trovavano, con i pesanti oneri che comportava anche quando la dimensione dell'emittente e i suoi ricavi non lo giustificavano mentre già la crisi economic che già si  andava profilando consigliava di riflettere maggiormente.
Ora si piange..,.anzi si chiude. Radio commerciali medio-piccole interrompono ogni giorno che passa l’attività vendendo come ormai è consuetudine gli impianti alle reti nazionali, e al sottoscritto che non ama solo la sua radio ma tutte quelle esistenti che hanno un progetto, non viene da sorridere pensando alle frasi pronunciate a suo tempo del tipo: “Mai mi trasformerò in una associazione, esse  vanno bene per preti e gli indigenti”. No, non viene da ridere perché ogni voce che si perde è un pezzo di storia che scompare e che non sentiremo mai più.
Considerata la gravissima situazione, indegna di un Paese come il nostro altrimenti evoluto in altri campi, è successo che qualche tempo fa un importante funzionario ministeriale, “illuminato” come si dice, vista la moria di queste entità locali pensò di arrestare il fenomeno facendo partire una volata di lettere che di fatto riaprivano la possibilità di trasformare le radio commerciali in associazioni giocando ancora una volta sulla riattivazione interpretativa della legge 5-2000.
Poi più nulla
Il Conna non era estraneo a questa operazione e in modo sibillino lo annunciò sul suo sito, ma qualcuno che non è difficile immaginare chi fosse fu contrario suggerendo al funzionario democratico di esserlo meno e che era meglio lasciar dissanguare poco per volta imprese la cui scomparsa non sarebbe stata rimpianta da nessuno.
Da allora, da viale America silenzio, sembra si ignori tutto ciò che è avvenuto nonostante che “carta parli” o canti se la vogliamo mettere in musica.
Ma il Conna non dispera che non appena qualche noto elemento verrà ridimensionato dai giochi politici in vorticoso avvicendamento sia possibile evitare che tante voci siano fatte tacere fra l’indifferenza generale, salvando in extremis un altro notevole numero di radio che nel frattempo – esistendo già delle regole, uno statuto e una nostra importante esperienza pregressa – sarà bene si preparino in vista di un nuovo stato giuridico.

21 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (5)
Ancora dal numero di dicembre di Nuove Antenne (pagina 3 articolo 2), legato al tema principale sulla concorrenza - un fattore squilibrante per il mondo dell'informazione televisiva e radiofonica  che  non ci risulta sia mai stato affrontato da nessuno secondo il nostro angolo interpretativo - l'oscura vicenda ancora tutta da chiarire che ha visto la Siae arrendersi all'aggresività Scf rinunciando ai propri diritti prima ancora di difendersi .

SIAE E SCF

Ci sono esempi di concorrenza controproducente evitata che ci vengono da lontano; uno di questi ce lo fornisce il legislatore che mise a punto nel 1941 una buona legge sul diritto d’autore: la n. 633 del 22 aprile di quell’anno, ben lontana dalla congerie di norme spesso contraddittorie e di dubbia costituzionalità che vengono prodotte oggi.
La ‘633, riservava in via esclusiva alla Siae l’attività di unico ente abilitato in esclusiva a percepire il diritto d’autore in senso lato per poi distribuirlo agli “aventi diritto”, impedendo in questo modo la concorrenza fra i potenzialmente numerosi pretendenti i cosiddetti “Diritti connessi” (un privilegio concesso ai discografici di allora che oggi non ha più senso) i quali accapigliandosi fra di loro avrebbero prodotto confusione,. inefficienza e disordine.
In tempi recenti – con grande sconcerto dei suoi iscritti – la Siae ha fatto ben poco per difendere questo suo diritto di esclusiva (articolo 180) consentendo che una società la Scf, nata Spa e poi trasformatasi in consorzio forse per acquistare più credibilità si autopromuovesse esattore di sé stessa. Il solerte Sapo Matteucci di cui ci occupiamo in altra parte del giornale e il presidente Giorgio Assumma non ci risulta abbiano emesso fuoco e fiamme per il tentativo di difendere l’articolo180. Sempre pronti a muovere i loro avvocati interni e un tempo (o tutt’ora?) consulenti esterni, hanno lasciato che la Scf scorazzasse per i tribunali vincendo (ma anche perdendo) cause spesso di fronte a giudici non proprio competenti in materia di diritto d’autore.
La Scf quindi, oltre alla Siae, oggi bussa alle porte di radio o televisioni locali – scortata da marescialli della Guardia di finanza che secondo il Comando centrale Gdf di Roma non hanno assolutamente diritto di farlo – pretendendo una percentuale sugli utili come - , se la questione non verrà affrontata seriamente e risolta -  potranno fare altre società o congreghe che hanno collaborato alla realizzazione di un determinato prodotto.
Un argomento utilizzato dalla Scf a piene mani destinato a fiaccare i “resistenti”, è un pronunciamento obliquo dalla Terza sezione della Cassazione presieduta da quel Claudio Vitalone reintegrato misteriosamente nei ranghi ma che subì un processo in merito all’omicidio Pecorelli i cui giudici – pur assolvendolo – ritennero provati i suoi rapporti con la banda della Magliana*.
A questo punto nessun commento da parte nostra, la Cassazione ha sempre ragione.
Un po’ meno la Siae e la Scf.

*Banda della Magliana è il nome attribuito a quella che è considerata la più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma.

17 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (4)
Con i due articoli che seguono si conclude il contenuto della prima pagina di Nuove Antenne attualmente in stampa.
Si noterà che la difesa delle emittenti non viene affrontata in modo diretto, ma in senso lato, ossia esaminando la causa principale che inesorabilmente sta portando ad una ferrea concentrazione e alla scomparsa di un gran numero di operatori televisivi.  A nostra memoria non ricordiamo che il problema del mercato e della  concorrenza ritenuti elementi di una sorta di religione intoccabile sia mai stato affrontato nella sua essenza negativa. A nuove Antenne, giornale periodico essenziale al ventiseiesimo anno di vita il pregio di averlo fatto per primo.

GLI ESALTATi DEL MERCATO ORA CI RIPENSANO  (sopratitolo)

CONCORRENZA MALEDETTA (titolo principale)

Le privatizzazioni nel nostro paese, realizzate con la scusa di stimolare la legge della concorrenza hanno ottenuto l’effetto contrario; come non bastasse, qualcuno continua a proporne di nuove nei settori più diversi e non si capisce se lo fa per freddo calcolo di tornaconto personale o sia incapace di valutare la realtà del nostro paese i cui attori in campo commerciale e industriale hanno abitudini storiche consolidate nell’agire dietro le quinte.
Ne consegue che il tanto mitizzato mercato italiano a differenza di quello europeo è incapace di portare equilibrio perché l’unico correttivo positivo che permetterebbe di stabilire il costo di un prodotto o di un servizio viene regolarmente disattivato in tutti i campi da attivissime lobby.
Come esse agiscano lo dimostrano i numerosissimi raduni annuali in località più o meno amene dei rappresentanti delle categorie più disparate durante i quali fanno cartello, o meglio - volendo evitare questa parola non compresa da tutti - si mettono d’accordo sullo stabilire un range all’interno del quale esistono differenze di scarso valore al solo scopo di confondere le idee ai cittadini e simulare una concorrenza che nei fatti non esiste.
Questa prassi antimercato ripetuta infinite volte ha regalato al nostro paese prezzi e tariffe fra le più alte d’Europa in tutti i settori e non solo in quello energetico, eccetto la telefonia portata spesso ad esempio, la quale ha registrato una riduzione di prezzi nella telefonia mobile, non in quella fissa, ma lo ha fatto in virtù di un progresso tecnologico impetuoso che ha diminuito i costi delle attrezzature tecniche di trasmissione rendendo insostenibili posizioni di rendita parassitaria e non certo per la buona volontà delle compagnie di tlc.
Esistono invece settori nei quali la concorrenza agisce perfettamente ma in chiave negativa come quella che mette le persone le une contro le altre anche sul piano fisico e dell’età, in una competizione a volte anche drammatica nell’intento di conquistare un posto al sole.
Se ne ha la misura considerando il tessuto di programmazione delle reti televisive nazionali improntato alla continua prevaricazione anche per la presenza di metodi di indagine di ascolto abbandonati ai privati quando per legge dovrebbero essere curati dall’Autorità per le garanzie (sic!) nelle comunicazioni (Agcom) (a questo proposito ci sarà mai un magistrato che riuscirà a far rispettare la legge al signor Calabrò e ai suoi “commissari” tutti di nomina politica?).
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pur di attrarre quanti più ascoltatori possibili per acquisire potere e vendere pubblicità, le grosse aziende televisive fanno a gara per scavalcarsi l’una con l’altra assecondando il grosso pubblico nei suoi gusti peggiori.
Si è giunti ad un punto tale da invitare in trasmissioni di successo pagandoli profumatamente, noti individui litigiosi che hanno il solo compito di scatenare la rissa, o proporre casi scabrosi magari a costo di costruirli in studio se la pur abbondante cronaca nera già non li offre pronti per l’uso.Il tutto propinato ad un pubblico ormai prono e incapace di reagire.
Un importante compito lo avrebbe oltre all’Autorità della concorrenza e del mercato (antitrust) che invece di solito sta a guardare intervenendo ben di rado, il Comitato media e minori (leggere l’articolo a pagina 3) ai fine di difendere le giovani generazioni dall’aggressione quotidiana dei media, attenuando con misure opportune gli effetti negativi di una concorrenza che nell’inseguire ossessivamente obiettivi puramente commerciali ha perso completamente di vista gli interessi generali.

IL MESTIERE DI GIORNALISTA

Era una professione è diventato un mestiere come l’idraulico o l’elettricista. Non è ancora a livello di scaricatore di porto ma poco ci manca; ma forse sarà meglio così perché saranno in tanti a capire meglio gli operai, i contadini e gli emigrati.
Come definire torme di reporter nell’atto di scavalcarsi fra di loro pur di arrivare primi a raccogliere “la dichiarazione” del personaggio del momento? Un giornalismo fatto di scoop, cinico e senza scrupoli volto a soddisfare più un mercato assurdamente competitivo che ad informare i cittadini?
Sono gli effetti anche in questo caso fortemente perversi della legge della concorrenza di cui si parla in altra parte di questo giornale che mette gli uni contro gli altri: vince chi ha i gomiti più duri e riesce a farsi largo meglio dei concorrenti.
Non mancano certo i buoni giornalisti ma sono una rarità; se ne dovessimo fare un sia pur succinto elenco apparirebbero nomi quasi sconosciuti che hanno avuto vita stentata; qualcuno ci ha rimesso pure la vita svolgendo inchieste scomode, tuttavia la maggior parte degli altri concepiscono la loro attività come un piatto lavoro impiegatizio e se ne guarda bene dal dire o scrivere su argomenti contrari agli “interessi della proprietà”
Quella del giornalista invece non è una professione qualsiasi; ciò che viene riportato influenza una massa di persone la cui vastità dipende del mezzo che si usa: una responsabilità ben diversa per esempio da quella di un operatore di banca che semmai ne ha altre in genere soggettive.
I cronisti italiani poi devono fare i conti con un mondo politico e imprenditoriale particolarmente maleducato e arrogante; quante volte si è visto l’intervistato seguito da un codazzo di disperati che hanno il solo obiettivo di raccogliere qualcosa con microfoni e telecamere da portare trionfanti al loro insaziabile redattore capo? L’inseguito abitualmente non si ferma neppure vedendo i cameraman camminare all’indietro con il rischio che inciampino e si facciano male, è come preso da una fretta irrefrenabile che poi magari si estingue di colpo non appena arriva al bar.
E pensare che tante ragazze e ragazzi sognano di fare i giornalisti o i fotoreporter scoopisti come Augusto Minzolini, il più celebre, magari inseguendo l'obiettivo finale del Tg1.

14 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (3)
La prima pagina di Nuove Antenne di dicembre contiene 3 articoli di fondo dedicati agli effetti negativi della concorrenza in campo informativo.  A quello presente seguiranno gli altri due.

UN CROLLO ROVINOSO 

I problemi della concorrenza televisiva in campo nazionale rischiano di non avere neppure più il contrappeso di una emittenza locale/regionale dai toni meno esasperati perché l’intero settore sembra ormai dominato da un gruppo di banditi contrari alla libertà di espressione.
Negli ultimi tempi, trovando il nostro giornale periodico Nuove Antenne in casella postale a Montecitorio e a palazzo Madama con titoli allarmanti (vederne qualcuno fotografato in terza pagina) una dozzina fra deputati e senatori chiamarono la redazione per saperne di più.
Tutti però – eccetto un senatore - facevano parte di quella opposizione che quando era maggioranza poteva cambiare radicalmente le cose e invece non fece praticamente nulla se non regalarci altre regole illiberali e la parassitaria Agcom che ha esautorato il Ministero delle comunicazioni.
In questa legislatura Paolo Romani rifiutando ogni contatto con le associazioni di categoria che non fossero a lui gradite, libero da ogni vincolo e con una maggioranza alle spalle schiacciante, ha determinato il dominio incontrastato dei soliti noti accelerando incautamente il programma di digitalizzazione che poteva realizzarlo benissimo da satellite se non avesse privilegiato i grandi interessi dei telefonici e di chi lo aveva nominato sottosegretario.
Romani, che si diceva fosse esperto del settore televisivo per aver organizzato la nota trasmissione condotta da Umberto Smaila “Colpo grosso”, non appena insediato, diede luogo in chiave trionfalistica al digitale terrestre con una operazione frettolosa non curandosi delle conseguenze della mancanza di un decoder unico nonostante fosse previsto per legge, e dell’assenza di un piano di numerazione dei telecomandi (lcn) che tanti inconvenienti ha generato.
In seguito, dopo questo frenetico esordio sgangherato, la notizia della sua nomina a ministro per lo sviluppo economico ci ha lasciato costernati domandandoci senza trovare una risposta plausibile come sia stato possibile che il presidente del Consiglio sia riuscito ad imporre ad un riluttante Capo dello Stato l’affidamento in mani tanto inesperte un dicastero così delicato e dai compiti molteplici.
Nel frattempo le residue illusioni dei titolari di tante aziende radiotelevisive sono cadute e qualcuno, incredulo si domanda come sia possibile venga limitato o privato delle frequenze di trasmissione in cambio di un indennizzo che sarà sempre ben poca cosa rispetto a. svariati decenni di lavoro.
Sarà molto difficile risalire la china e far fronte ai colpi di coda di una maggioranza azzoppata di governo che in procinto di abbandonare la nave cercherà di afferrare tutto ciò che le passa per le mani. La legge finanziaria, ribattezzata chissà perché “Legge per lo sviluppo” ne è un esempio: ben sapendo che il caos e i tempi stretti avrebbero impedito qualsiasi discussione è stata infarcita di norme scandalose. E non si è che all’inizio del naufragio

13 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (2)
Come già annunciato pubblichiamo un altro articolo contenuto nelle pagine interne di Nuove Antenne per dar modo a coloro che non riceveranno il giornale a causa della folle eliminazione delle agevolazioni postali di conoscere il punto di vista del Conna. Nei giorni prossimi giorni ne seguiranno altrI compresi quelli di prima pagina diretti ai politici.
Siae e Scf è uno degli articoli di terza pagina.

SIAE E SCF

Ci sono esempi di concorrenza controproducente evitata che ci vengono da lontano; uno di questi ce lo fornisce il legislatore che mise a punto nel 1941 una buona legge sul diritto d’autore: la n. 633 del 22 aprile di quell’anno, ben lontana dalla congerie di norme spesso contraddittorie e di dubbia costituzionalità che vengono prodotte oggi.
La ‘633, riservava in via esclusiva alla Siae l’attività di unico ente abilitato in esclusiva a percepire il diritto d’autore in senso lato per poi distribuirlo agli “aventi diritto”, impedendo in questo modo la concorrenza fra i potenzialmente numerosi pretendenti i cosiddetti “Diritti connessi” (un privilegio concesso ai discografici di allora che oggi non ha più senso) i quali accapigliandosi fra di loro avrebbero prodotto confusione,. inefficienza e disordine.
In tempi recenti – con grande sconcerto dei suoi iscritti – la Siae ha fatto ben poco per difendere questo suo diritto di esclusiva (articolo 180) consentendo che una società la Scf, nata Spa e poi trasformatasi in consorzio forse per acquistare più credibilità si autopromuovesse esattore di sé stessa. Il solerte Sapo Matteucci di cui ci occupiamo in altra parte del giornale e il presidente Giorgio Assumma non ci risulta abbiano emesso fuoco e fiamme per il tentativo di difendere l’articolo180. Sempre pronti a muovere i loro avvocati interni e un tempo (o tutt’ora?) consulenti esterni, hanno lasciato che la Scf scorazzasse per i tribunali vincendo (ma anche perdendo) cause spesso di fronte a giudici non proprio competenti in materia di diritto d’autore.
La Scf quindi, oltre alla Siae, oggi bussa alle porte di radio o televisioni locali – scortata da marescialli della Guardia di finanza che secondo il Comando centrale Gdf di Roma non hanno assolutamente diritto di farlo – pretendendo una percentuale sugli utili come, se la questione non verrà affrontata seriamente e risolta, potranno fare altre società o congreghe che hanno collaborato alla realizzazione di un determinato prodotto.
Un argomento utilizzato dalla Scf a piene mani destinato a fiaccare i “resistenti”, è un pronunciamento obliquo dalla Terza sezione della Cassazione presieduta da quel Claudio Vitalone reintegrato nei ranghi ma che subì un processo in merito all’omicidio Pecorelli i cui giudici – pur assolvendolo – ritennero provati i suoi rapporti con la banda della Magliana.
A questo punto nessun commento da parte nostra, la Cassazione ha sempre ragione.
Un po’ meno la Siae e la Scf.

07 dicembre  2010 
ANTICIPAZIONE (1)
Il direttivo del Conna ha deciso di pubblicare nei prossimi giorni in anteprima alcuni articoli (oltre al presente) che appariranno sul numero di dicembre di Nuove Antenne attualmente in lavorazione.
Dopo anni di equivoci e ambiguità, le emittenti televisive locali si sono improvvisamente accorte che per la politica cieca, ottusa e affaristica delle loro associazioni sono completamente indifese e incapaci di darsi una strategia.
Le radio piccole e grandi faranno bene a tener conto delle vicende televisive perché se non sapranno correre ai ripari per tempo saranno anch'esse prima o poi travolte dal ciclone scatenato da questo governo in favore delle reti nazionali che  vogliono restare le sole padrone del campo.
Quello che segue è l'anticipazione dell'articolo di terza pagina di Nuove Antenne (incorretto) che verrà recapitato singolarmente per loro conoscenza a deputati e senatori.

DGTVI: FINE DI UN IDILLIO

Pensavano di cavarsela organizzando un congresso annuale cui partecipavano perditempo e affaristi di ogni genere, poi pompavano soldi per tutto l’anno trovando uno schieramento di sprovveduti disposti a darglieli.
E noi del Conna ad affannarci nel ripetere, state attenti! Questi signori non sono rappresentativi di organizzazioni sindacali né di studi di consulenza che hanno una loro dignità per il lavoro amministrativo che svolgono, essi sono un ibrido che nulla vi può dare.
Alcuni loro iscritti che forse lo avevano capito, si associarono al Conna vincolandoci al silenzio sui loro nomi (che abbiamo rigorosamente rispettato), pensando che la nostra associazione nazionale non perseguendo fini di lucro poteva svolgere una funzione in più per difenderli, compito che abbiamo sempre esercitato in ogni occasione; altri, convinti dai “produttori viaggianti” di questi comitati d’affari abbandonarono il Conna accettando le profferte di chi andava distruggendo quello che e sul piano strettamente sindacale era il prestigio di una intera categoria che consente poi di identificare al suo interno le parti rappresentative che devono partecipare ai “tavoli” di trattative di qualsiasi genere, nel caso specifico con Ministero, Agcom, Siae ecc..

Una categoria allo sbando

Neppure il loro riconoscimento e sostegno dato alla Scf servì a far capire chi erano; qualcuno seppe solo dirci che se anche le quote di iscrizione annuale erano molto elevate, era rassicurante essere assistiti da uno studio legale e noi a ribattere che in caso di necessità è sempre meglio valersi di avvocati del posto che conoscendo meglio i tribunali locali sono in grado di muoversi più agevolmente di un avvocato in trasferta, e che comunque i ricorsi legali dovevano essere pagati a parte oltre alle quote annuali di iscrizione.
La loro azione nefasta fece sì che quelli che erano i contatti abituali istituzionali ultratrentennali che avvenivano prima di prendere qualsiasi decisione - tipico quanto succedeva all’interno del Comitato per l’assetto del sistema radiotelevisivo – poco per volta vennero soppressi, utilizzando queste organizzazioni parassitarie come ascari, collaborazionisti in grado di costituire alibi prima delle stoccate finali.
Ai loro “congressi”, per poter meglio maneggiare dietro le spalle a tutto favore dei potentati nazionali dell’etere, non lesinavano la loro presenza ministri, sottosegretari, elementi dell’Agcom, rappresentanti di categorie che nulla avevano da spartire con le televisioni e le radio, produttori di apparecchiature e chi ne ha più ne metta. Durante l’ultimo convegno annuale della Frt – una organizzazione che ha il pregio di far capire di quali interessi è portatrice – si giunse a vantare la “pace collaborativa” fra le reti nazionali televisive e le emittenti locali, come a dire che era stata finalmente scoperta la chiave di volta della quadratura del cerchio oppure creata una associazione di inquilini all’interno di una di proprietari di immobili. Sembrava un idillio senza fine, ci mancava solo la distribuzione di premi e medagliette!

Il fuoco intanto covava..

Il fuoco però covava sotto la cenere sotto forma dell’imposizione di un “Digitale brutale”, molto più selvaggio di quanto immaginava il Conna medesimo: frequenze regalate o messe all’asta, sottratte a chi le usava magari da trentacinque anni; condizioni di trasmissione stravolte; impossibilità di essere ricevuti dall’utenza per le più diverse ragioni e su tutto la sensazione che i giochi fossero ormai fatti con l’espulsione di fatto dell’emittenza televisiva locale.
Il vice presidente della Frt locali Giorgio Tacchino uscendo clamorosamente (ma tardivamente) per protesta insieme ad altri dall’associazione “DGTVI per il digitale terrestre” ha dichiarato come scrive il quotidiano telematico Newslinet.com : "Non capisco questo accanimento, non vedo a chi possiamo dare fastidio. Dicono che sia Mediaset, ma Mediaset ha tutto, perché mai dovrebbe temere le locali?".
Giorgio Tacchino non ha ascoltato il suo presidente Filippo Rebecchini - altrimenti si sarebbe dimesso subito da anni dalla Frt stessa - quando disse che è giusto “debbano sopravvivere solo quelle emittenti che hanno dignità di impresa”. Che significa avere dignità di impresa? Quando la si ha? Quando si è rappresentativi di qualcosa legato al sociale, al culturale o semplicemente alla piccola imprenditoria appassionata del mezzo, oppure si ha la “cassaforte” di Publitalia alle spalle?

Mediaset non ha "tutto"

Il povero Tacchino sperava forse che Mediaset e altri potentati alla fin fine accettassero che una Italia 7 Gold qualsiasi (questa definizione non è soggettivamente denigratoria ma riguarda tutte le locali anche le maggiori) sottraesse anche un solo ascoltatore cui vendere pubblicità e acquisire potere? Mediaset non ha “tutto”, le manca quel telespettatore che la sua Italia 7 Gold le potrebbe togliere. 

Una categoria che non fosse preda di equivoci a tutti i livelli doveva essere in grado di imporre, ripetiamo imporre - e i mezzi di diffusione e di convincimento dell’opinione pubblica certo non mancavano – di lasciare la trasmissione analogica a terra permettendo a quanti fossero in grado di farlo di salire poco per volta su di una piattaforma satellitare (esattamente come stanno facendo su Sky Primocanale di Genova, Videolina della Sardegna, E la pugliese Telenorba24) oltre alle reti nazionali Rai, Mediaset, eLa7 che si sono messe al sicuro con Tivu sat.

 L'ultima spiaggia

Forse qualcosa può essere ancora fatto se non altro per impedire vengano compiute delle scelte irreversibili sul “Digital divider”, mortali per l’emittenza locale.
Sarebbe una lotta contro il tempo ma con qualche possibilità di successo se l’intera categoria si mobilitasse subito dando luogo ad una assemblea generale aperta a tutte le parti in causa da tenere nel centro-Italia.
A questo proposito il Conna resta in attesa di notizie.

(Da Nuove Antenne, anno ventiseiesimo, numero di dicembre 2010)

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