Digitale terrestre, problemi a non finire. Governo come orchestra sul Titanic. Ma l’importante è salvare la faccia in Europa

 

Con il passaggio al digitale terrestre "possiamo ritenere chiusa la procedura di infrazione con l'Europa". Ad affermarlo, con la consueta certezza delle dichiarazioni ufficiali, è il viceministro allo Sviluppo Economico, il digital-ready Paolo Romani.

Secondo Romani, "Il passaggio al digitale prevede per l'Italia un dividendo di 6 canali che sono quelli che l'Europa ci ha chiesto per chiudere la procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. Lo stiamo attuando nelle regioni dove si passa al digitale". Intanto, però, gli effetti imprevisti (forse) ed indesiderati (forse) della migrazione tecnologica si moltiplicano. Oltre ai noti problemi di un'utenza tutt’altro che digital-equipped, si stanno cominciando a registrare i crolli di ascolto delle tv locali e delle nazionali minori (mentre vanno alla stragrande gli abbonamenti di Sky, totalmente indifferente alla concorrenza della sconosciuta Tivùsat). Nel Piemonte occidentale (Torino e Cuneo) le emittenti locali hanno avuto cali di audience oscillanti tra il 36% ed il 53%. Ma va ancora peggio nella Sardegna, all-digital da oltre un anno, dove tv locali di spessore hanno lasciato sul terreno analogico tra il 45 ed il 63% dell'utenza. Un inquietante flash-forward del futuro nazionale? I segnali sembrano confermarlo: gli introiti da televendite nel DTT sono rasi al suolo e duramente colpita è anche la tabellare, a causa della diffidenza degli inserzionisti ad investire in una fase di start-up tecnologico (proprio in un momento di magra di contributi statali). Sulla vicenda sta pesando tantissimo lo smarrimento delle trasmissioni nel mare magnum delle centinaia di programmazioni digitali, anche (ma non solo) a causa della vicenda dei numeri LCN. Questa ultima è probabilmente la più grave delle disattenzioni delle associazioni delle tv locali, che, nonostante il problema fosse noto da almeno quattro anni, hanno iniziato timidamente ad affrontarlo solamente nel secondo semestre 2008, quando ormai erano conclusi i giochi dei player nazionali (ben posizionati tra le prime venti numerazioni). Ora, nel bel mezzo delle decine di conflitti di attribuzione per area tecnica, si cerca di correre ai ripari con una poco convincente proposta avanzata da DGTvi ad Agcom, che per parte sua ha avviato un'istruttoria a cui farà seguito, con ogni probabilità, una pubblica consultazione. Per ora, tuttavia, l'unico effetto della proposta dell'associazione per il digitale terrestre è aver dimostrato quanta divisione ci sia ancora nel settore. Che tiri una bruttissima aria lo si percepisce pure dalle dichiarazioni di Filippo Rebecchini, presidente della Federazione Radio Televisioni, che sul Corriere della Sera di ieri è arrivato a dichiarare che "Rispetto alle 550 emittenti locali che abbiamo oggi, alla fine non ne resteranno più di un centinaio". E a lasciarci le penne saranno ovviamente "le realtà più piccole" non in grado di "reggere la concorrenza dei nuovi canali nazionali". Del resto, che le cose non stiano andando come previsto lo si deduce anche da quanto scrive l'associazione sull'ultimo bollettino, quasi una risposta ad un recente nostro articolo: "La FRT è consapevole dei numerosi problemi tecnici e delle conseguenze connesse al passaggio al digitale terrestre e non intende sottacere nulla. Al contrario, proprio perché consapevole delle difficoltà che caratterizzano i grandi processi di innovazione (il digitale terrestre è, peraltro, un processo non più procrastinabile), con senso di responsabilità e atteggiamento propositivo, sta collaborando con le Istituzioni, a tutti i livelli, per la ricerca delle migliori soluzioni possibili che consentano di gestire al meglio la transizione in tutto il territorio nazionale". Del velo informativo sul digitale ha parlato anche Aldo Grasso sul Corriere della Sera di oggi. In apertura d’articolo, un curioso comunicato diffuso il 23 novembre nell’edizione principale del Gr di RadioRai: "Può essere necessario cambiare la selezione del Paese scegliendo per esempio Germania invece che Italia”. Forse “un invito agli abitanti del Lazio in difficoltà con il digitale terrestre”, affinché “provassero a impostare una diversa nazione del decoder”? si chiedeva Grasso, aggiungendo: “Germania? E perché mai? È la prima volta che la Rai ammette ufficialmente qualche inconveniente di ricezione nello switch off”. “La colpa non è dei decoder fabbricati in Germania” – si rispondeva il giornalista – “Certi decoder hanno la sintonizzazione automatica, altri, nella fase iniziale, vanno resettati di continuo altrimenti registrano più frequenze di quante possano contenerne, per altri ancora bisogna procedere manualmente. Non tutti gli utenti hanno confidenza con i menu d’installazione”. Lapidaria la sua conclusione (che è poi quella a cui erano già giunti, prima di lui, altri osservatori): “La colpa vera è che il Dtt non è il sistema più adatto e tecnologicamente più avanzato per un Paese complicato come l’Italia dal punto di vista orografico. È soltanto il sistema che consente a Rai e Mediaset (proprietari dei sistemi di distribuzione) di conservare la supremazia nella piattaforma terrestre, nell’attesa di passare progressivamente al satellite”. “Bastava avere il coraggio di dire che il passaggio al Dtt non sarebbe stato una passeggiata”, concludeva Grasso. Già, ma per Romani l’importante è che col DTT, a tutti i costi, si possa “ritenere chiusa la procedura di infrazione con l'Europa". E intanto l’orchestra del governo suona mentre la televisione locale italiana affonda nel mare digitale.

24/11/2009 23:36

[Newslinet - 24/11/2009]

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